Piero T. de Berardinis


Biografia

Esperienze

Anni '60
Dovendo descrivere in poche parole il mio passato, preferisco usare un tono colloquiale, lasciando da parte lo stile "professionale", per inserire anche alcune "citazioni" di vita vissuta e di esperienze, uniche ed irripetibili per tutti noi quando riguardano gli anni dell'adoloscenza e della gioventù; esse fanno parte del nostro bagaglio culturale ed esperenziale ed è giusto parlarne con affetto e dovuta considerazione. Molte volte viene rimproverato, a chi si occupa di musica "colta", di aver avuto scarse frequentazioni con il pubblico, di non aver conosciuto la cosiddetta "piazza", di esser rimasto sempre appartato ed isolato in un aureo universo personale e solipsistico. Non è questo il mio caso, almeno per la prima parte della mia vita, e, cosa importante, non me ne vergogno affatto.

In genere, quando si conosce una persona anziana o di media età, si pensa che essa sia sempre stata così, nata già adulta e matura, ignorando che più sono gli anni anagrafici sulle spalle, maggiori sono le esperienze, i ricordi, le delusioni, le ansie, le gioie, ma, soprattutto, grande il patrimonio umano e storico-intellettuale dovuto all'apporto delle persone che, in qualche modo, hanno incrociato il loro destino con il nostro.

Difficile stabilire la qualità di tali incontri: di sicuro, sarebbe stato meraviglioso trascorrere anche solo qualche ora con Fellini o Picasso, ma non ho avuto questa fortuna. In compenso, le mie esperienze sono certamente originali rispetto a quelle di qualsiasi altro: entrano quindi a pieno titolo in questa storia e in essa si compenetrano e agiscono, invisibili e prepotentemente attive ed incisive.

In queste righe vi parlerò del passato che per me risale ad oltre sessant'anni fa: siamo, infatti, nei mitici anni '60. Mio padre, dunque, suonava il violino e quelle poche volte che ho avuto la fortuna di ascoltarlo con attenzione rimanevo incantato per come, da quella scatola di legno, e quasi per magia, uscisse quel suono così particolare e vibrante, intessuto di graffianti armonie. Nonostante la gioia dell'ascolto, non ho mai amato il violino, e mio padre, devo dire, non insistette molto perchè ne iniziassi lo studio. Andavo, piuttosto, di soppiatto, a rovistare nell'armadio in camera da letto dove era ben nascosta una vecchia fisarmonica. Strumento enorme e pesantissimo (avevo quattro-cinque anni), lo tiravo fuori, lo trascinavo fino al letto e lo disponevo orizzontalmente con la tastiera verso di me e la parte con i "bottoni" verso il bordo del muro. Infilavo quindi il manico di una scopa nella cintura bloccando la parte dei bassi tra il letto e il muro e, afferrando la tastiera da sotto con i pollici, tiravo e spingevo il mantice suonando alla "Mozart", con quattro dita... una fatica incredibile! Ma ho sempre amato i tasti, il contatto con il materiale superficiale, la vibrazione che si ha al tocco e alla pressione... chi suona il pianoforte mi ha già capito...

E, infatti, il pianoforte arrivò ma non rimase solo per molto: a fargli compagnia venne una pianola elettrica, regalata in periodo natalizio (ora so che erano le prime in commercio) che aveva la possibilità di "cambiare" i timbri e di produrre un suono prolungato, simile a quello dell'organo...

Intanto mi divertivo con i magnetofoni (marca Geloso, la ricordate?) ascoltando vecchie registrazioni di samba catturate alla radio ("Mas Que Nada" di Sergio Mendes, fino alla consunzione fisica del nastro, se non distrutto prima da mio fratello) e con uno straordinario gioco Philips che permetteva, usando resistenze, transistor, rivelatori d'umidità e cellule fotoelettriche, di assemblare circuiti elettrici senza saldature (tra gli altri, un completo generatore sonoro di un'ottava...)

Avevo otto anni quando iniziò la commercializzazione dei giradischi stereofonici: i miei ne acquistarono subito uno (marca "Lesa" mi pare di ricordare) ed ogni settimana ero in edicola per l'uscita de "I Grandi Musicisti" della Fabbri Editore: fascicolo con disco 33 giri allegato (un po' più piccolo dello standard ma con le prime incisioni stereofoniche, 480 lire).Tornavo a casa, lo scartavo, estraevo con attenzione il disco, l'odore era molto particolare e piacevole e si fondeva con quello della carta e degli inchiostri di stampa: i miei primi stereo furono "La Gazza Ladra" di Rossini e la "Terza Sinfonia" di L. V. Beethoven. Chiuso in camera, gli altoparlanti ben collocati agli angoli opposti, toni alti a 3/4 e bassi a metà percorso con una leggera enfasi, volume medio-alto, luce attenuata, poltrona avvolgente, inizio l'ascolto: la disposizione degli strumenti era chiara e la musica fluiva come in una sala da concerto. Ore e ore trascorse ad ascoltare e riascoltare i classici non disdegnando l'opera (ho molto apprezzato Donizetti) con una netta predilezione per la musica barocca e organistica.

Ma un giorno, a nove anni, recandomi nel negozio di dischi sotto casa (del quale ero diventato cliente abituale), il commesso mi fece ascoltare, come usava con le novità, il 45 giri di un gruppo sconosciuto, fresco fresco di stampa: la canzone si chiamava "Girl" e il complesso The Beatles. So che ai più giovani la cosa non dirà molto, ma pensate che a casa avevo ancora i fragilissimi 33 di ceramica (la plastica, quindi il vinile, erano stati inventati da poco, ricordate il Moplen e le biro Bic?) con "Magic Moments", i Platters, Elvis, Paul Anka... il jazz di Armstrong e di Count Basie...

L'incontro con i Beatles è stato meraviglioso e devastante: "Michelle", "Yesterday", il trascinante "Help"... e... il violoncello ostinato di "Eleanor Rigby", quante volte l'avrò ascoltato? Cento? Mille volte? Incredibile, un sound mai sentito, invenzioni acustiche che lasciavano senza fiato ad ogni ascolto. Attenzione, parlo di sound, non di parole: in vita mia non ho mai ascoltato il testo di una canzone, sempre e soltanto la "musica" e il canto come insieme di struttura melodico-armonica, timbrica, ritmo...

Siamo nel 1963 e due anni dopo, a seguito di immersioni totali nelle prove di una band di un mio amico più "anziano" ("Barbara Ann" dei Beach Boys ripetuto ad libitum per giorni interi...) e pomeriggi al mare con sottofondo di Edoardo Vianello (dal jukebox si ascoltava solo "Abbronzatissima", "Con le pinne fucile ed occhiali", ecc.), riunivo alcuni amici per formare il primo complesso (gli Omnia). Ho tredici anni quando, capelli lunghi, stivaletti, basettoni, jeans attillati e giacca rosso fiammante, salgo, come tastierista, sul palco del night all'epoca più "in" della zona (siamo a Pescara, il night è il Tortuga) per il mio primo concorso musicale: in scaletta "Word" dei Bee Gees (1967) e "A Whiter Shade of Pale" dei Procol Harum... ci "piazzammo" secondi, seppur troppo giovani e inesperti.

Anni '70
Il mondo della musica leggera era in grande fermento in quel periodo: negli stessi anni e nei successivi vedono la luce i Pooh, i New Trolls, i Camaleonti, i Nomadi, l'Equipe '84, Lucio Battisti, Mina... si ascoltano i Rolling Stones ("Satisfaction", 1965), Aretha Franklin, i primi Cream (il trio Clapton, Bruce, Baker), arriva qualcosa dei Led Zeppelin, emergono i Pink Floyd, i Vanilla Fudge, Brian Auger & The Trinity (con i suoi assoli all'organo Hammond e la voce di Julie Driscoll), John Mayall, Santana, Jimi Hendrix e il geniale Frank Zappa.

Tutto ciò è estremamente importante nella formazione del personale background musicale, così come quello dei miei compagni musicisti: non si è formato in una visione unitaria e a ritroso della discografia d'archivio, come potrebbe essere quella di un ascoltatore contemporaneo, ma lentamente nel tempo e nello spazio, assimilando ed elaborando le nuove forme armonico-strutturali progressivamente ed ordinatamente. Non con un mix, quindi, di epoche e stili diversi ma una lenta stratificazione verticale, cronologica, degli stili e delle forme armonico-ritmico-timbriche in una costruttiva ed efficiente visione evoluzionistica.

Il fine ultimo di queste righe non è quello di tracciare un "bignami" della musica leggera italiana ma di evidenziare la tipologia e la qualità delle mie esperienze musicali nel contesto storico vissuto: ecco perchè non posso non citare, accanto all'ascolto dei 45 di "leggera" e 33 di "classica", l'acquisto dei 45 di Luciano Berio (Cathy Berberian, "Visage" e "Circles"), gli ascolti di Maderna, Petrassi, Dallapiccola e Cage. Ma questa è un'altra storia (la "vita parallela"...) cui rimando nella sezione "EVS"...

Ritorniamo in tema, siamo nei primi anni '70: sbarco dell'uomo sulla Luna (1969), i primi orologi al quarzo con led rossi, balere in riviera, night e concorsi musicali. Inizia in quel periodo un'intensa attività, soprattutto "in zona". Con il nome Sigma avevamo come manager la dinamica titolare dell'ormai famoso negozio di dischi sotto casa (nostri contemporanei all'epoca i locali Nassa, i Nunc et Semper e la Quinta Dimensione, gruppo nel quale suonava le tastiere Giuseppe De Cecco, detto "Peppe", sì proprio quello della "pasta", e con il quale condividevamo lo spazio per le prove, un vecchio tiro a volo abbandonato sulla riviera). Strumentazione: Farfisa Syntorchestra, organo Echo (con effetti distorsione e wah-wah) e Fender Rhodes.

Ricordo con piacere il concorso vinto con il gruppo denominato Krisma (finale a Teramo con Mike Bongiorno, 1975), che ci permise di incidere il nostro primo 45 giri:

La mia voglia d'amare
Durata: 4:10
Data di pubblicazione: 1977
Musica e testi: Nino Cocchini
Casa discografica: Audioson Records (Milano)
Strumenti: piano Hohner, tastiera violini Logan, synth Farfisa
(Mp3, 3,8 Mb)



Così dolce
Durata: 2:53
Data di pubblicazione: 1977
Musica e testi: Nino Cocchini
Casa discografica: Audioson Records (Milano)
Strumenti: piano Hohner, tastiera violini Logan, synth Farfisa
(Mp3, 2,6 Mb)



*Attenzione:
la qualità dei brani è bassa in quanto gli originali, oltre ad essere stati registrati con un particolare metodo di compressione, sono stati trasferiti da un microsolco a 45 giri e non direttamente dal master su nastro magnetico.


(nell'occasione conobbi, nello studio di registrazione di Roma, l'indimenticabile presentatore Corrado). Interessante fu ascoltare, durante una delle numerose serate della gara, Max Roach dal vivo nel teatro di Ortona: un assolo strepitoso di ben venti minuti!

Periodo di gavetta e acquisizione di mestiere (innumerevoli serate in locali e balere, viene introdotta la registrazione dolby su "musicassetta", alla radio spopola "Bandiera Gialla" di Arbore e Boncompagni) finché non passammo, dopo, naturalmente, essere stati ascoltati, sotto le ali "protettive" del manager di Bologna Morselli. Ottenemmo una serata di Capodanno al Casinò di Saint Vincent (con Nunzio Filogamo e le Bluebell... tra il pubblico il bravissimo Alberto Lionello... strumentazione: organo Hammond con box leslie); serate al Casinò di Venezia, una intera stagione invernale l'anno successivo presso il miglior albergo di Corvara (Alta Badia, Dolomiti, due spettacoli, pomeridiano e serale tutti i giorni per tre mesi). Strumentazione: Farfisa Syntorchestra, tastiera di violini Logan (insuperabile per "Mi vendo" di Renato Zero :-), piano elettrico Hohner.

Importante e decisivo l'ingaggio stagionale da Marzo (qualche giorno prima del rapimento di Aldo Moro) ad Ottobre, nel 1978, come gruppo di Gino Santercole, una band di 15 musicisti e quattro cantanti, e spalla di una serie impressionante di spettacoli. Nella band suonava il basso Davide Colferrati che molti amici bolognesi ricorderanno con affetto e che è stato il mio compagno di viaggio, insieme alla indistruttibile "500" e alla favolosa colonna sonora dei Weather Report (era appena uscito, in Italia, il brano "Birdland"), in quasi tutte le serate del tour, in Puglia, Calabria, Campania, Basilicata, Sicilia e alcune nelle Marche.

Davide arrivava da Bologna con il treno, da Pescara ci spostavamo insieme in auto nel luogo della serata. Ho un ricordo piacevole e nostalgico della sua amicizia, un "compagnone", un vero professionista, di una umanità e cordialità straordinarie, e la repentina scomparsa, della quale purtroppo ho saputo solo recentemente, mi ha profondamente turbato e rattristito.

Oltre 180 serate in quella stagione: con Don Backy, Betty Curtis, Rocky Roberts, Mino Reitano, gli Alunni del Sole, Rino Gaetano, Fausto Leali, Peppino di Capri e tanti altri bravi e amatissimi cantanti nel Sud Italia. Sud che ho imparato ad amare ed apprezzare proprio grazie a quelle serate: a volte eravamo in trio con Gino (io, il bassista e il percussionista), in struggenti calette di Copanello in Calabria, gli strumenti portati a spalla sugli scogli, per un pubblico selezionato (con brani come "Una carezza in un pugno", "Straordinariamente", "Svalutation", "Such a cold night", "Ancora noi" e celebri pezzi resi famosi da Celentano come "Azzurro"), altre volte con la sorella e Malù Valente in scorci di paradiso in Sicilia (soprattutto nella zona di Taormina e nell'agrigentino), sulle spiagge calabre, sulla costiera amalfitana... il caldo, il sole, le isolette, i faraglioni, il Teatro Greco, l'Etna, quella sabbia dorata e quei panorami unici e straordinari...

Il lavoro fu bellissimo ed estremamente gratificante ma anche faticosissimo. Spostamenti di oltre cinquecento km al giorno tra andata e ritorno, tutti i giorni, dormire poco, saltare regolarmente la cena (25 kg persi in tre mesi), riposare per niente, mi convinsero ad abbandonare l'attività "sul campo" per aprire, sempre a Pescara, una scuola di musica privata stabile, Artemusica, denominata in seguito Istituto Carl Czerny per la Didattica Musicale (1979/1997).

Nel 1978 acquistai il primo computer Apple // (48k). L'anno successivo (1979) incontrai il maestro Riccardo Bianchini nel suo studio di musica elettronica presso il Conservatorio d'Annunzio di Pescara... ma, questa, è un'altra storia... e... un'altra vita...

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